ESPERIENZE DI SERVIZIO E DI MISSIONE: IL RACCONTO DI SOFIA

“Ho fatto un sogno e ho visto un posto in cui milioni di persone danno vita ad un altro sole, sai che c’è? Tutti erano importanti e si fidavano degli altri… Non c’era nessuno di giusto o sbagliato. Ci ho creduto perché in fondo sembrava possibile.”
Così inizia il mio viaggio, da un sogno. Nel 2019 ho iniziato un percorso, Viaggiare per Condividere, offerto dal centro missionario diocesano di Padova, che mi ha portata a vivere un’esperienza missionaria a Suç e Burrel, in Albania, lo scorso luglio.
Comincio col presentarmi. Mi chiamo Sofia Berti, ho quasi 23 anni e abito in un paesino in provincia di Vicenza. Nella vita studio Scienze della Formazione primaria e sono animatrice nella mia parrocchia. Mi piace viaggiare, cantare e fotografare tutto quello che di bello vedo, e anche fare tutte queste cose contemporaneamente, meglio in compagnia di buoni amici. Ci sono voluti tre anni, una pandemia mondiale, speranze vane di potere viaggiare, per esaudire questo sogno, ma finalmente quel momento è arrivato.
16 Luglio 2022: Albania sto arrivando. In aeroporto a Tirana Suor Giusi che mi aspetta, con lei anche i miei compagni di viaggio Leticia, Elisa e Leonardo. Da lì le cose non sarebbero più state le stesse. Incontri, sguardi, gesti, colori, profumi che mi hanno cambiata e che porterò sempre con me.
La missione in pillole: animazione tutte le mattine con bambini e ragazzi dai 5 ai 12 anni, pomeriggi al fiume, visite alle famiglie povere di Burrel, visite ai villaggi vicini, serate di chiacchere, film e partite a carte. Ma questa è solo una semplice lista di cose. È difficile descrivere due settimane di esperienze vissute in pieno, fino in fondo da vera protagonista, con tutte le energie e con la voglia di prendere tutto ciò che di bello questa esperienza potesse darmi. Ancora più difficile lì è stato rendersi conto di tutto quello che mi stava succedendo: ogni giorno nuovi incontri, nuove situazioni mi travolgevano e anche se ogni sera provavo a fare il resoconto della giornata, forse il tempo per assimilare il tutto non c’è mai stato veramente, se non da quando sono tornata.
Sono a casa da un mese e mezzo e ogni giorno qualcosa mi ricorda l’Albania. Incontro, condivisione, felicità. Con queste tre parole racchiuderei la Mia Missione. Parole semplici, prima di partire avrei detto anche banali, se avessi dovuto pensare a un’esperienza di questo tipo.

Questa esperienza mi ha permesso di incontrare persone e scoprire, conoscere, ascoltare le loro storie. Non è stato sempre facile fare ciò: arrivare in una terra straniera, dove però la straniera ero io, e avere la capacità di sospendere qualsiasi tipo di giudizio, anche quello più innocente dovuto a semplici differenze culturali. Solo facendo questo però sono riuscita a entrare in sintonia con queste persone, a partire dalle suore della missione e dai loro collaboratori e, anche se per poco, mi è sembrato di far parte della loro comunità, dove mi sono sentita accolta e dove ho potuto mettermi a servizio. Proprio i valori dell’accoglienza e del servizio sono quelli che si sono fatti sentire con più forza durante le due settimane: ho imparato l’importanza di accogliere l’altro, letteralmente con nulla se non con un sorriso e un “Si je?” (Come stai?) e di mettersi a disposizione dei bisogni altrui. Tutto ciò non sarebbe sicuramente stato così speciale se non l’avessi condiviso con degli altrettanto speciali compagni di viaggio. Sono partita da sola, sono tornata in compagnia. Tre suore che sono state guide, supporto e amiche e tre meravigliosi ragazzi, i miei compagni e confidenti. Risate, scherzi, scambi di pensieri, a volte anche litigi, qualche lacrima sia di gioia che di tristezza; con loro ho trascorso giornate indimenticabili, loro mi hanno permesso di “vivere” la missione. E tutto questo ora posso condividerlo con chi per due settimane mi ha pensata dall’Italia, con chi mi ha fatto conoscere la realtà missionaria e anche con chi questa realtà deve ancora conoscerla. Infine, la missione è stata per me un sogno che si è avverato, ma non concluso, con un’esplosione di felicità. Una felicità particolare, fatta di piccole e semplici cose, che ho ritrovato nel sorriso dei bambini di Suç e Burrel, nelle passeggiate per raggiungere le chiesette disperse sulle colline della regione di Mat, nelle messe in albanese durante le quali l’importante non era certo capire le parole ma il motivo per cui si era lì. “Un bambino calcia un pallone oltre il muro. Non ci separano più, il cielo è uno”
A volte la cosa più difficile è prendere un aereo, lasciare anche solo per pochi giorni la propria zona di confort; ma quando si riesce a farlo si scoprono realtà, paesaggi, abitudini, tanto diverse dalle proprie quanto estremamente simili e si comprende che a separarci è solo un’ora e mezza di volo.

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