DA UN MATTINO
testo liberamente tratto da Celebrazione del quotidiano, Colette Nys-Mazure, Ed. Servitium, 2006
Vi scrivo da un mattino. Nuovo come il primo mattino del mondo. Come allora, le querce, i faggi, i pioppi stormiscono nel vento leggero. Il cielo a oriente si accende e si colora d’ocra rosa. Una tacita Gioia investe il giardino; il canto degli uccelli si alza di un tono. Le margherite più alte già captano i raggi che battono sul muro di mattoni ineguali, macchiati di salinitro, coperti d’edera.
Un tripudio avvolge le aiuole fiorite: le petunie vibrano entro le bordure; splendono i tageti, aureolati dalle prime api in volo; le ortiche paiono ancora inoffensive. Tubare di colombi; il rollio sull’autostrada come sottofondo continuo. La tavola in legno dipinto, l’altalena, due sedie lasciate capovolte, e un cavallo a dondolo aspettano nel prato: la vita sospesa. il quotidiano si offre a portata di sensi e anima, come resistergli?
Capita che non mi prenda più il pensiero, il piacere di sostarvi. La quantità di impegni da risolvere riduce la bellezza a uno scenario lontano. Per colpa mia, non vi ho più accesso. Veemente protesta di un merlo battagliero Questa volta sono i nasturzi arancio e giallo a brillare, rinfrescati dalla rugiada notturna. Sì, c’è tutto e io passo indifferente, preoccupata. Allora vi scrivo all’alba, Ma le parole no, non sono quelle dell’alba: trasportano il carico di ieri e della notte, il triste gruccio. […]
Dove alimentare la vigile attenzione che è indispensabile, ne sono certa, a chi vuole vivere compiutamente? Oserò andare verso il Dio della mia giovinezza? Correre il rischio del turbamento, espormi all’emozione devastante, avanzare in trepida.
Altrove uomini e donne si svegliano davanti ad una parete d’ospedale, a sbarre di prigione, a una giornata da morire di noia o umiliazione. Oscillano tra stupore e paura d’essere ancora al mondo; tra prospettive felici o disastrosi riscontri. Senza conoscerli, sento che sono coinvolti nella mia stessa avventura. Questa certezza amplia la mia esperienza personale. Non è una fuga nel conforto del grande magma dove sarei dispensata dall’essere una persona ben definita, è la coscienza di una solidarietà, di una fraternità. Vivo la mia vita, ristretta e illimitata certamente, ma è la mia e mi piace, e non voglio sprecarla.
Il risveglio
Nei campeggi giovanili continua la tradizione del gioco notturno, non si potrebbe instaurare un gioco dell’alba? Ognuno, a turno, inviato ad assaporare la freschezza di ciò che nasce, dove attingere un’invincibile fiducia nelle forze di Resurrezione iscritte nella vita. […] E, ogni volta, lo stupore del risveglio: sono viva, sono al mondo. In quel breve istante, fiorisce la coscienza precaria del presente, come un regalo senza prezzo. Un giorno in più, un giorno come un altro, preso nella trama continua dei giorni senza rilievo apparente, ma un giorno mio, un giorno da vivere in mezzo agli altri, su questa terra. […]
Il bianco dell’alba
La notte ha fatto il vuoto e ritemprato le forze. Sorgere nuovi nel chiarore risorto. Profusione e sobrietà. Prendere possesso dell’Eden traboccante di dolci frutti da assaporare e, nello stesso tempo, conoscere la mancanza, riconoscere la povertà necessaria per lasciare la porta aperta a ciò che viene. Non vorrei perdere una formazione professionale, né il film da vedere come urgenza né la sessione prossima, tutte queste possibilità, e al contempo non voglio più che la mia vita vada in tutte le direzioni, che l’agenda sia strapiena. Voglio attenermi a una linea modesta, ha un’intuizione primordiale. Diserbare, tagliare, innaffiare senza sosta: i fiori morirebbero sotto una vegetazione invadente. Mettiamoci al cospetto di Dio e adoriamolo. Concentrarmi nuovamente, non su di me ma sull’intento profondo. Invece di deplorare la mancanza, l’imperfezione, lo scompenso tra appetito e stomaco (hai gli occhi più grandi del ventre), Rallegrarmi In segreto del divario. non il pieno Presuntuoso e insultante, ma la modestia e la flessibilità dello spazio vuoto che tale rimarrà. Brecce e inclinature. […]
In ogni tempo
Vi scrivo all’alba. Tempo oscuro dell’inverno, ancora in tessuto di notte, silenzio, regno intimo della lampada e degli indumenti di lana. O aurora d’estate, luminosa, popolata di uccelli, ai bordi del giardino. Per due ore sono certa che nessuno mi reclamerà, né alla porta né al telefono, né alzando la voce. Uno spazio mio. Lasciare libero corso a cosa? Appunto si vedrà. Succede che la mancanza spaventi, allora ciondolo, cambio l’acqua ai fiori, tempero e ritempero una matita appena spuntata, vado a vedere se la finestra è chiusa bene. Diversivi da cui non mi lascio ingannare.
Tempo di raccoglimento prima della dispersione, della condivisione. C’è il testo sacro che si può lasciare in infusione dentro di sé, proposto dal tempo ordinario dell’anno liturgico. Diverse forme di preghiera. Raccogliere in sé tutti coloro che si amano, sgranare la litania dei nomi prediletti, farne mentalmente il giro, immaginarli dove vivono e accompagnarli con solerte amore. Leggere e ricopiare un passaggio che parlerà all’uno, ritagliare un frammento utile all’altro, scegliere la cartolina che trasmetterà lo slancio di tenerezza. Storie di legami continuamente annodati, riannodati. Tutto ciò che si custodisce, altrimenti viene meno, si snatura, si perde se non si fa attenzione. Cominciare presuppone umiltà e fiducia. Coraggio ingenuo, ardito. Non sarà perfetto, sarà quel che sarà, ma cercherò di fare del mio meglio. L’alba ha questa verginità delle cose possibili, la passione di ciò che può essere.
Vi scrivo da un mattino. Di Grazia, lasciatemi il mio territorio.
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