Dialogando con Madre Rachele Guardini facciamo memoria di quell’evento significativo e importante per ciascuna di noi e per l’Istituto nostro.
Carissima Madre Rachele, lasciaci parlare un po’ con te, giacché oggi è un giorno di memoria importante e perciò ci piace condividere con te alcuni pensieri e leggere i tuoi.
Ti ricordi cosa avvenne in quel lontano 6 agosto 1838?
Sì, partii da Vicenza insieme al caro Padre don Luca il mattino del 6 agosto e giungemmo a Campo Sant’Andrea a Venezia, presso la casa delle Figlie dell’Addolorata alle 2 pomeridiane.
Immaginiamo le emozioni, i pensieri, il caldo!
Veramente era una giornata molto calda, ma la presenza di don Luca e il pensiero di quanto stava per accadere non me lo facevano avvertire più di tanto.
Cosa portavi nel cuore?
Portavo un po’ di nostalgia della comunità di Vicenza[1] in cui avevo instaurato buone e positive relazioni[2], e dovetti sostenere una faticosa lotta interiore per accogliere la volontà di Dio e l’obbedienza, l’ascolto della sua voce, come mi spronavano le persone che guidavano il mio spirito,[3] ma percepivo anche gioia pensando che il distacco mi consentiva di vivere la fiducia e l’abbandono, secondo il pensiero del caro Padre che non cessava di raccomandare la “confidenza che visse Abramo, il quale si fidò di Dio contro speranza.”[4]
E poi?
La sorpresa fu la comunità: “Trovai una famiglia numerosa più di quello che credevo”:[5] 22 suore, 5 oblate, 23 educande; trovai pure una grande comprensione e disponibilità a sostenermi ed accompagnarmi nel nuovo compito da parte del Superiore designato dal patriarca di VE, Card. Jacopo Monico, com’era costume allora per gli istituti religiosi femminili, nella figura di Mons. Rizzardo Roberto Balbi; e soprattutto mi confuse, mi stupì e confortò insieme la disponibilità di tutte a “porsi sotto alla più misera quale son io”, tanto che “mi sono sentita mancarmi il cuore, in pensando che il Signore si vuole servire della più infima fra le sue creature.”[6] Con questa disponibilità d’animo e questo spirito, mentre don Luca aveva il cuore straripante di fiducia e di speranza per la nuova comunità e l’intero istituto, per il bene che ne poteva venire per la Chiesa e per la cristiana educazione della gioventù, soprattutto povera e, perciò, per la diffusione della Pia Opera di Santa Dorotea, iniziammo, subito dopo, gli Esercizi spirituali, predicati proprio dal caro don Luca.
E questo fu semplicemente il cominciamento!
Come furono quegli esercizi spirituali?
Furono un’esperienza riposante di preghiera, di affidamento e di domanda perché il Signore si degnasse di benedire[7] la nuova realtà che stava per sorgere in questa città di Venezia. Don Luca non si risparmiò in alcun modo “…e fece anche lo straordinariato e tutto questo fino il dì 14, vigilia di Maria Vergine SS. Assunta in Cielo.”[8]
E conclusi gli Esercizi?
“Beh, il giorno 14 alle tre pomeridiane, presente anche d. Luca, venne ordinata la Pia Opera di S. Dorotea nella Parrocchia dei Tolentini, in una casa destinata per istruire alla sera i giovani, e poi, rientrati in comunità, “le aspiranti alla nuova Istituzione si presentarono processionalmente per ricevere il velo bianco da Monsignore; e tale cerimonia veniva indicando che tutte avrebbero cominciato il Noviziato, quale stabilirono per queste un anno solo, [sotto di me], dichiarata Madre Maestra delle Novizie e Superiora.”[9]
Sembra tutto molto semplice, ma fu davvero così?
La semplicità viene dal fatto che ben conoscete, che gli eventi si susseguono quasi naturalmente, sembra; camminano con una logica che pare necessaria e non sempre trattengono e possono tramandare quello che vive il cuore delle persone, sia a livello psicologico, come distacchi, paure, perplessità, dubbi, sia a livello religioso e di fede, quando si accoglie spiritualmente che la propria vita personale e quella dei gruppi realizzi, attraverso la partecipazione al mistero di Cristo, misteriosi ma reali eventi di salvezza, misteriosi perché non evidenti allo sguardo esteriore. Infatti alle persone con cui ero in contatto io continuavo a chiedere “di pregare, acciò il Signore ci doni il suo vero spirito, ed allora si farà molto.”[10]
Cara Madre Rachele, questa chiacchierata ci porta a pensare due cose: anzitutto fa tornare ciascuna di noi agli inizi della propria avventura in Istituto che non furono, forse molto dissimili da quelli che tu ci hai narrato e poi come la situazione di oggi, in fondo in fondo, pur con le sue giuste varianti, abbia molti tratti che ripetono quel lontano 6 agosto 1838.
La storia personale di ciascuna, pur essendo unica, ha certamente tratti che sono comuni e, forse, allo stesso modo, ciò vale pure per la storia delle istituzioni. É avvenuto pure a noi quanto affermi: “Ciò che è stato fondamentale per me è stato lasciare ogni timore e porre in Dio tutta la mia confidenza”, giacché il “conoscimento della mia inabilità, concessomi dall’infinita misericordia del Signore, permise che gli altri conoscessero che egli opera in me.”[11]
Ecco!
Tornare ogni anno al 6 agosto 1838 significa fare l’esperienza dello sguardo rivolto al passato perché la memoria sia sempre più ‘memoria di Dio’ e proclamazione della Signoria divina di Gesù Cristo. ‘Ricordati di Gesù Cristo’ (2 Tim 2,8) significa: ‘Credi nella sua resurrezione e nel dono del suo Spirito’. La memoria religiosa! Perciò, essa unisce e racchiude più inviti: “Ricordati! Credi! Vivi! Celebra! Rallegrati! Convertiti!”[12] Si tratta, quindi di una memoria feconda, creativa, che rimette in contatto con la sorgente profonda e ultima dell’evento ricordato, ma che è iniziato per ciascuna con il “suo” giorno di percezione, avvertimento e risposta alla chiamata del Signore a far parte di questo istituto. È grazia che rimanda al dono del tempo personale e istituzionale di appartenenza all’istituto delle Suore Maestre di S. Dorotea, tempo regalato a ciascuna come gesto di amore e misericordia continua del nostro Dio.
Ognuna quindi ha il suo 6 agosto da inserire con riconoscenza in questo spazio di memoria.
Tornare ogni anno al 6 agosto 1838 significa ancora mettere in relazione la complessità concreta della situazione e dell’evento al quale la data rimanda, con la complessità del vissuto attuale, culturale e di istituto. In tempi di penuria di energie, di problemi che sembrano sovrastarci, diversi ma simili a quelli di allora forse siamo chiamate a credere che come lo Spirito ha orientato e sostenuto don Luca e madre Rachele e li ha guidati a far esplodere una nuova Pentecoste che ha rianimato una realtà in difficoltà e ne ha fatto nascere una cosa nuova, anche ora può far germinare vita dentro le nostre piccole o grandi morti. La chiamata del 6 agosto è chiamata a essere discepole in questa piccola porzione di chiesa che è l’istituto a cui ci è stato dato di appartenere.
Ha scritto M. Tenace: “Se essere discepolo significa essere testimone dell’amore manifestato a Pasqua, la morte è implicitamente parte dell’eredità del cristiano. Ma è parte dell’eredità del cristiano perché forza dell’amore. Se spesso il nostro cristianesimo è senza forza è perché è senza amore.”[13] La morte, le morti e la fede nella resurrezione, il sacrificio e il limite, conditi di amore, sono forza di vita e pegno di futuro.
Forse questa fiducia noi possiamo ritrovare e alimentare facendo memoria, oggi 6 agosto 2023, delle nostre origini nel giorno 6 agosto 1838.
Sr. Emmarosa Trovò