Sospinte dallo Spirito ci lasciamo coinvolgere nel disegno di salvezza

La Domenica delle Palme è una tappa di grande intensità nel lungo cammino quaresimale che conduce i fedeli a rivivere, ogni anno, la gioia della Pasqua del Signore Gesù Cristo. La liturgia che la Chiesa celebra in questo giorno è ricca di chiaroscuri sublimi e paradossali. Una vera e propria sinfonia drammatica che, partendo dal festoso ingresso di Gesù nella città santa, si conclude con il «terremoto» – storico e «teologico» – in cui si rende manifesta la profondità del mistero di Incarnazione:

 

«Davvero costui era Figlio di Dio» (Mt 27,54).

 

È molto antica la tradizione di iniziare la celebrazione di questa domenica con una processione, attraverso la quale i fedeli fanno memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, non solo attraverso l’ascolto e la contemplazione del cuore, ma anche muovendo i piedi e agitando le mani, coinvolgendo corpo e mente nella ricchezza dell’esperienza liturgica.
Prima di entrare nella città santa, per portare a compimento il disegno d’amore del Padre, Gesù esprime ai suoi discepoli una singolare richiesta:

 

«Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me» (Mt 21,2).

 

Il vangelo di Matteo, più degli altri sinottici, sembra attento a citare in modo accurato la profezia messianica di Zaccaria, con cui si preparava la venuta, nella pienezza dei tempi, di un Salvatore capace di salvare il suo popolo con sorprendente mitezza: «Umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (Zc 9,9). Il desiderio di entrare nella città santa in un modo così disarmato e disarmante, per Gesù, si impone come una vera e propria necessità:

 

«E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”» (Mt 21,3).

 

L’indicazione fornita ai discepoli va ben al di là del suo immediato contesto e può diventare un vero e proprio suggerimento spirituale per tutti noi, chiamati in questa domenica a congedarci dagli atteggiamenti penitenziali della quaresima per introdurci nelle possibilità mistiche offerte dalla festa di Pasqua. Ciò che il Signore ha sempre bisogno di ricevere dalla nostra umanità, per compiere il miracolo della conversione e della universale salvezza, è la disponibilità a sciogliere la nostra paura di essere inutili e di non poter più servire a nulla di bello e di grande. Infatti, l’asina e il puledro, su cui «misero i mantelli ed egli vi si pose a sedere» (Mt 21,7), rappresentano bene la nostra capacità di offrire quello che siamo, perché Dio possa compiere il suo desiderio di essere il «Dio con noi» (1,23) e con tutti.

 

Affermare che il Signore ha bisogno del nostro dorso per accedere alla sua Pasqua significa accettare l’idea che la nostra vita possa realmente cambiare — e far cambiare – le cose, non tanto a partire dal frutto del nostro impegno, ma a partire dal seme della nostra capacità di lasciarci assumere e coinvolgere nell’universale disegno di salvezza. La Domenica delle Palme ci ricorda che non è mai tardi per gettare il nostro mantello — cioè la nostra vita — sulla strada scelta da Gesù, facendola diventare nostra attraverso quel desiderio di vita che, in questi giorni di penitenza, si è lasciato purificare da preghiera, digiuno e carità. Un desiderio in grado di non venir meno nel momento della prova, quando l’opposizione degli altri può generare confusione e tentazione nel nostro cuore:

 

«Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso» (Is 50,7).

 

Se in questa Pasqua accettiamo di slegare e di portare a Gesù la nostra umanità, la grazia del nostro battesimo ci può rendere nuovamente partecipi non solo dei suoi sentimenti di compassione e di giustizia, ma anche della sua volontà di incarnare nella storia l’infinito amore del Padre: «Cristo Gesù svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,7-8). Solo attraverso questa disponibilità offerta, la potenza dello Spirito Santo può renderci testimoni del Re autentico, colui che non afferma ma dona se stesso:

 

«Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito» (Mt 27,50).

 

Fra Roberto Pasolini

 

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… Mi raccontò di una omelia di san Bernardo ai suoi monaci: «Nel giorno delle Palme, nel corteo che accompagna il Maestro e i discepoli giù dal monte degli ulivi, c’è chi canta, chi applaude, chi fa ala e stende i mantelli, chi agita rami di palma: un giardino che cammina. Chi più vicino a Gesù, chi più lontano. Ma tutti contenti. C’è però un personaggio che fa più fatica di tutti, anche se è forte, anche se è il più vicino, ed è l’asina con il suo puledro (Matteo 21,2), su cui hanno steso i mantelli, su cui è salito Gesù. Chi sente tutto il peso di quell’uomo da portare su per l’erta che sale dal torrente Cedron verso il tempio e si stanca, è l’asina. È la più vicina a Gesù eppure quella che fa più fatica. Così anche noi» continuò «quando facciamo fatica, quando sentiamo il peso delle cose di Dio, forse questo accade perché siamo molto vicini al Signore, stiamo portando lui e insieme il peso del cielo sopra di noi, con le sue nuvole scure da spingere più in là. L’importante è continuare: poco dopo c’è Gerusalemme».

 

Tratto dal commento al Vangelo di Ermes Ronchi

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