Quella mattina Maria di Magdala smette di piangere perché Gesù risorto e vivente si mostra come un amico
Quel mattino, Maria di Magdala ha trovato la tomba di Gesù aperta, violata, il suo corpo sparito come se fosse stato trafugato, quasi non fosse bastato averlo straziato e ucciso. All’esterno del sepolcro, si ferma a piangere. Il Vangelo ce lo ricorda per ben quattro volte: due «piangeva» e due «Donna, perché piangi?» (Gv 20,11-15). Ma da dove viene Maria, che di lì a poco cambierà il suo stato d’animo grazie all’incontro con Cristo risorto?
Era uscita che ancora era buio. Perdonate se tento di immaginare: il buio era più dentro che fuori di lei. Forse il buio era quello del cielo che si era fatto livido il venerdì santo, alla morte del suo Maestro e amico, quel buio le si era come impigliato dentro l’anima e gli occhi. Ebbene anche noi, come Maria, facciamo Pasqua e ci accorgiamo che veniamo dal buio. Non si può fare Pasqua se non dopo aver fatto i conti con il buio. Non possiamo fare come se non venissimo dal buio. E dal pianto. […] La domanda è se la nostra speranza è più forte del nostro buio, se è più forte del nostro pianto.
Infatti, la fede nella resurrezione non è un cammino disinvolto senza esitazioni, sospensioni, tentennamenti fatto di una luce prorompente e abbagliante, ma un incedere che si fa strada a poco a poco fatto di pulviscoli di luce. Questi piccoli passi indirizzati verso il Signore risorto custodiscono una tenerezza dalla quale bisogna sempre partire. Come gli angeli chiedono compassionevolmente a Maria perché stia piangendo, il Vangelo ci dice che il primo atto è accorgersi del pianto dell’altro.
Ma ciò non basta. Infatti, nel cuore di lei rimane il buio, perché queste parole potrebbero sembrare meramente consolatorie. Gesù ripete la stessa domanda, aggiungendo però: «Chi cerchi?». Dimostra così di sapere che quel buio è legato alla perdita di qualcuno di caro. Chiamandola semplicemente «Maria!» manifesta inoltre che il suo non è l’interesse di uno sconosciuto, ma quello di un amico. Lei replica «Rabbunì!» (maestro) e da quel momento giunge in fondo al suo percorso di sofferenza.
In queste due ultime parole c’è tutto il brivido di una relazione viva. Il cammino della fede nella risurrezione porta qui, a pensare Gesù come un vivente. Che non può essere trattenuto. Se è il vivente, non può essere trattenuto in un luogo o in un’ora. È qui, oggi in questa nostro luogo, come in tutti i luoghi. È qui, in questa nostra ora, come in tutte le ore. È il vivente. Ma non siamo solo chiamati a crederlo vivo e presente in mezzo a noi, siamo anche chiamati a lottare contro tutto ciò che rende morto il nostro cuore, per far sì che nel buio possa farsi strada la luce.
Liberamente tratto da un testo di don Angelo Casati