La festa della trasfigurazione ci porta su un alto monte: non inteso in termini geografici, quanto piuttosto simbolici… Siamo invitati, in compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni, a lasciarci condurre nella profondità della relazione intima tra Gesù e il Padre. Qui possiamo fare esperienza che questa relazione è il nostro habitat naturale, in cui condividere la vita con Dio e prendere le distanze da ciò che quotidianamente viviamo per guardarlo da un’altra prospettiva: la prospettiva di Dio. Per vedere ciò che ci accade sotto un’altra luce: la luce dello Spirito Santo, che porta a cogliere il lato nascosto delle cose.
Solo uno sguardo illuminato può penetrare la realtà, cogliere quell’oltre in cui riverbera tutta la bellezza di Dio: è di questa bellezza che i discepoli hanno fatto esperienza cogliendo nell’umanità di Gesù qualcosa che non è semplicemente umano… Nella carne di Gesù traspare la pienezza della sua relazione con il Padre che si manifesta come gloria, come luce, e che i Vangeli raccontano come veste candida, sfolgorante.
Sul Tabor Gesù fa vivere ai discepoli un anticipo della luce della risurrezione, per prepararli a quando la manifestazione della gloria raggiungerà il punto più alto, ossia sulla croce, nell’abisso dell’umiliazione più profonda. E qui sarà lo scandalo che i nostri sensi non sopportano: l’immaginario umano spontaneamente non riesce a contemplare la sofferenza… La trasfigurazione è quindi una palestra in cui Gesù vuole allenare gli occhi dei suoi perché possano contemplare nell’uomo crocifisso già il Risorto, per cogliere oltre la croce l’oro della risurrezione.
I Padri della Chiesa dicono che a cambiare non è stato Gesù, ma è cambiato lo sguardo dei discepoli, sono cambiati i loro occhi… Lo Spirito Santo ha bagnato con la Sua luce increata gli occhi dei discepoli e questo ha reso possibile la visione completa di chi è Gesù: vero uomo e vero Dio, il Figlio in cui si rende visibile il Volto del Padre.
Anche per noi il senso della trasfigurazione si manifesta nell’apprendere l’arte di guardare la vita, per poter guardare a ciò che viviamo nella nostra “valle” dalla giusta prospettiva… Ma per far questo è necessario essere accompagnati, come gli apostoli che sono stati presi e condotti sul Tabor da Gesù. Solo qui possiamo vederci alla maniera di Dio, possiamo fare nostro il suo sguardo e riconoscere che sul monte, cioè presso il Padre, anche l’amore ferito è già totalmente trasfigurato, quelle che a noi sembrano ferite in Lui sono i segni della Sua gloria, ciò che a valle è croce e fatica, sul monte è già beatitudine. Ciò che nella nostra vita viene scritto con il carbone, nel Regno di Dio è scritto con oro, con il colore dell’amore.
Questo trasformerà il nostro immaginario e anche la nostra memoria, perché guarirà il male che si è sedimentato nei nostri ricordi, permettendoci di guardarlo alla maniera di Dio, cioè nella luce del suo Regno. Questa luce che sul Tabor è rifulsa può riempire anche le nostre giornate ed è immersi in questa luce che possiamo continuare a sognare la nostra vita con Dio. E dire anche noi, insieme a Pietro: “è bello per noi essere qui”.