«All’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro» (Mt 28,19). Osserviamo nel bassorilievo della resurrezione che adorna uno dei quattro lati del ciborio della Basilica di S. Pietro al Monte di Civate (Como), le due Marie nella loro rude ed essenziale fattura.
Le donne appaiono alte e solenni; i soldati diventano piccoli piccoli. I «forti» fanno la guardia ad un sepolcro vuoto. Le donne annunciano un futuro divenuto presente, le donne raccontano che Gesù salva e viene nei luoghi della miseria umana. Anche noi come secondi madri raccontiamo che l’amore è più forte del male e della stessa morte.
Le donne sono rappresentate mentre portano gli unguenti e l’incenso al sepolcro. La prima delle Marie lancia il turibolo verso la grande tomba del sepolcro, proprio come si incensava l’altare nelle liturgie medievali. Eppure la tomba è vuota. Seduto sui bordi del sepolcro l’angelo porta l’annuncio pasquale («Non è qui!»), ma né il movimento solenne delle sue mani che indicano l’altrove, né le sue parole interrompono il gesto profetico delle due discepole. Annichiliti ai loro piedi, piccoli piccoli, i due soldati si riparano dietro gli scudi. Efficacissimo contrasto questo, tra la statura alta e solenne delle donne e quella meschina degli uomini, dove le proporzioni fisiche rappresentano quelle morali: grandi donne e piccoli uomini! E non manca di ironia l’altro evidente contrasto tra le differenti «armi» dei due gruppi: oli e incenso da una parte, scudi, elmi e corazze dall’altra. Gli uni a fare la guardia inutilmente a un passato perdente, le altre custodi di un futuro appena sbocciato. Gli uni e le altre raccolti attorno allo stesso «vuoto», spettatori di assenza i soldati e profetesse di Presenza le donne.
Le due Marie del mattino di Pasqua portano con loro il corteo di tutte le donne del Vangelo, che seguirono Gesù e lo amarono. La prima Maria, sua madre, che custodiva e meditava nel suo cuore la Parola seminata in lei dallo Spirito; la donna emorroissa, quella delle perdite di sangue, la sola veramente capace di «toccarlo» in mezzo a una folla che lo strattonava; la pagana cananea che, osando chiedere il pane dei cagnolini, lo aiutò a capire di essere il Salvatore di tutte e di tutti; la vedova di Nain, schiacciata dalla vita, che toccò il suo cuore con la forza muta del dolore; le due sorelle, Marta l’accogliente e Maria l’ascoltante, entrambe dedite a farlo sentire bene nella loro casa; le tante donne senza nome che lo seguivano e lo servivano, in silenzio e nella dedizione; la peccatrice della casa di Simone, che infranse il club religioso per soli uomini e compì quello che nessuno di essi era capace di fare: amò molto e molto fu perdonata; Maria di Betania del vangelo di Giovanni, che non si inginocchiò ai suoi piedi, ma ritta alle sue spalle, come sacerdotessa e profetessa, ruppe il vaso di nardo genuino e profumato e gli unse il capo svelando il significato del suo morire e anticipando la sua risurrezione. Donne grandi, ognuna custode della fede nutrita di amore.
Donne del Vangelo di Gesù Cristo e donne di altri vangeli, culture, fedi. Israelite e arabe, greche e romane, occidentali e orientali, del nord e del sud del mondo, irachene e statunitensi… Ogni volta che si consuma un mistero pasquale, qualcuna di loro è lì, a tenere congiunte pietà e speranza, a non permettere che sia smentita la vittoria di quel mattino nel quale le due Marie, con l’unguento e il turibolo lanciato nel vento, riconobbero, onorarono e annunciarono il Signore della vita[1].
Rendiamo visibile anche noi nelle nostre giornate la logica pasquale: quella dell’amore che può trasformare la nostra vita e far fiorire le zone di deserto del nostro cuore.
[1] Cfr Rivista Evangelizzare