La Quarta Domenica di Quaresima ci offre già visivamente, nel colore liturgico utilizzato, un messaggio importante. Nel nostro cammino quaresimale, caratterizzato dal colore viola che ben ne esprime lo spirito, uno squarcio è segnato dalla tenerezza e dalla vitalità del colore rosa, che sembra richiamare alla purezza della bellezza divina, che ciascuno di noi è chiamato a far trasparire anche nella propria esistenza, e dare così veramente gloria a Dio. Non è un caso, dunque, che proprio questa Domenica indica già nel nome con cui è appellata una via: Laetare! Cioè, gioire! È un invito sì, ma è quasi perentorio, come a non voler lasciare altra opzione che non sia quella di poter gioire, con i toni fermi ed insieme amorevoli di chi, come un anziano premuroso, vede più lontano di noi e ci indica la strada.
Ma quali sono i motivi per gioire? Proviamo ad individuarne alcuni – ne prenderò tre – proprio dalla Parola di Dio che questa Domenica ci offre.
Alla Misericordia l’ultima parola. Il Secondo Libro delle Cronache della Prima lettura fa riferimento ad un momento in cui Dio si arrabbia, e non è certo la prima volta. Ma in questo caso la Scrittura afferma che è così forte la sua ira, che Dio questa volta non può tornare indietro, è arrivato al culmine, “senza più rimedio”. Come dargli torto? Il Popolo da Lui amato non perde occasione non solo per non corrispondere alle Sue premure, ma anche per agire in modo a lui contrario, con una serie di scelte che sembrano non tenere minimamente conto di Lui. È, nel piccolo, la stessa esperienza che anche noi facciamo quando offriamo ogni nostro sforzo per una buona causa, per una persona che amiamo, per una situazione difficile, e tutto quello che ne abbiamo in cambio è, nel migliore dei casi, indifferenza. E allora ecco farsi spazio in noi livorosi giudizi che denunciano ingratitudine, insieme a propositi del tipo: “Non lo farò mai più! Lo giuro a me stesso”. Eppure l’ira di Dio anche in questo caso – lo ricaviamo dal racconto delle Cronache – non esplode. Non è la rabbia né qualunque altro sentimento negativo ad avere l’ultima parola in Dio. Un motivo di gioia è allora sapere che l’ultima parola in Dio spetta solo alla sua Misericordia, che nella vicenda biblica si concretizza nella figura di Ciro a partire dal quale il Signore suscita un nuovo inizio. Dio è sempre pronto a tornare sui suoi passi e a voltare pagina. E noi? A cosa diamo l’ultima parola nella nostra vita? A quale atteggiamento permettiamo di influire sulla nostra personalità, di determinare la qualità del tempo della nostra vita e delle nostre relazioni?
“Siamo infatti opera sua”. Questa affermazione di Paolo agli Efesini ci offre un altro motivo di gioia, e lo fa intervenendo direttamente sul quel pessimismo e su quelle ansie che tante volte ci attanagliano il cuore con l’attribuire a noi tutta la responsabilità del possibile fallimento della nostra buona sequela. Paolo ci ricorda infatti che il nostro compito è quello di partecipare con la nostra testimonianza ad un’opera che continua comunque ad essere più grande di noi e che trova in Dio stesso la sua fonte ed il suo motore: l’opera di salvezza. In essa ognuno di noi – pur con i suoi limiti – porta sempre l’impronta di Dio, quel segno di appartenenza, quel tratto distintivo che si esprime nella possibilità che sempre la nostra umanità porta in sé, di poter essere strumento di bontà, di amore. È un’impronta che niente potrà eliminare, nemmeno il peccato che, per quanto grande possa essere, non potrà mai superare Dio stesso. Motivo di gioia è allora quello di saperci capaci di compiere il bene nelle e attraverso le nostre esistenze, in qualunque condizione di vita ci sia richiesta, e qualsiasi sia la stagione che essa si trovi ad attraversare. So di portare questa vocazione al bene in me? Devo forse rispolverarla dall’illusione di non esserne capace? Mettiamoci all’opera, sapendo di poter contare sulla “straordinaria ricchezza” della grazia di Dio.
“Dio ha tanto amato” e “ha dato”. Le parole che Gesù rivolge a Nicodemo nel Vangelo di questa Domenica ci aiutano poi a scorgere il vero volto di Dio. Egli ci offre l’esempio più alto dell’amore, quello che Lui stesso ha nutrito per il mondo, e che dunque da sempre nutre anche per ciascuno di noi. È l’amore del Padre premuroso che non si limita ad osservarci da lontano e magari a rammaricarsi per le nostre mancanze, ma nella carne del Suo Figlio si coinvolge nella storia concreta di ciascuno di noi, affinché nessuno di noi debba credersi perduto. In Gesù Dio ha pronunciato la parola più autentica e definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, sei amato. Sempre amato. Dio poi non si limita ad amarci. Nel farlo ci insegna pure lo stile del suo amore, del vero amore. Un amore che potremmo misurare dal suo essere privo di qualsiasi riserva, ovvero libero dalla tentazione di poter tenere qualcosa per sé. Un amore così grande, che non può fare a meno di donarsi tutto a noi. È proprio questa la forza dell’amore: frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono. Ecco il più grande motivo di gioia che la liturgia di questa Domenica ci ricorda: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. E quale motivo più grande di gioia può esistere se non sapersi davvero amati da Dio e, con l’amore di Dio, di poterci anche amare gli uni gli altri? Quanto è bello incontrare persone che si vogliono bene! E quanto è edificante sapere che c’è chi è disposto a considerare l’amore come il bene superiore da preservare sempre e comunque, perché è l’unica cosa che porterà sempre con sé! Ed io, sono consapevole dell’amore che Dio nutre per me? Mi impegno ad essere strumento di amore e di condivisione in mezzo agli atri? Questa è la chiave per comprendere la nostra vita e per essere davvero felici.
Alla luce dei tre – tra i tanti possibili – motivi per gioire appena condivisi, possiamo davvero vivere questa quarta Domenica di Quaresima come un assaggio della gioia che esploderà nell’annuncio della Pasqua; un anticipo che allo stesso tempo conferisce il giusto senso anche al percorso tipicamente penitenziale della Quaresima, ricordandoci e offrendoci con la Parola la prova di come sia in realtà possibile “cantare i canti del Signore” anche mentre brancoliamo nella “terra straniera” della nostra tiepida risposta all’Amore di Dio. Non una sofferenza che trova in se stessa il suo fine, ma il contatto lucido con il nostro limite che lascia il passo alla gioia indicibile di poterlo anche superare. Cristo ha vinto, e vince la morte.
Don Marco Mastroianni
Diocesi di Lamezia Terme
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