La Nascita e le nascite
Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:
Oggi nella città di Davide, è nato per voi un salvatore (Lc 2,10-11)
Tratto da I giorni dello stupore di Angelo Casati
È nato, anche Lui, come tutti, ed era figlio di Dio, messo alla luce, lui che era la luce, dopo avere abitato nove mesi di tenera ombra. Anche lui in un gesto di affidamento, che è la vita. E ci furono mani quella notte, ci furono fasce e la mangiatoia. Come se Dio non avesse chiesto di più per nascere. Come se volesse insegnare che la vita è consegnarsi a una promessa. Se non ti affidi, muori in un grembo. Se, prima di uscire alla luce, vuoi il programma, non uscirai mai. Esci affidandoti.
Senza un atto di fiducia rimaniamo nel grembo. Senza un atto di fiducia nella vita, la vita senza aggettivi, la vita così come accadrà. Insegnamento prezioso che sta nell’umido degli occhi di ogni bambino, in quello sguardo senza ombre e senza pretesa. Insegnamento urgente per un tempo come il nostro, che sta segnalandosi come la stagione di una accentuata diffidenza, come la stagione del calcolo esasperato, del controllo ossessivo.
Gesù ci propone il bambino, non certo per la sua innocenza che non potremmo imitare, ma per la sua capacità di abbandonarsi. È così che si cresce nella vita.
Ma la Nascita, le nascite, ci fanno chini anche su un altro mistero, quella della fragilità. Su un mistero di fragilità si chinarono nella notte Maria e Giuseppe. Ogni madre e ogni padre chini, come ad adorare una vita che è soffio in pochi palmi di mani, le tue mani. Sfiori e quasi è paura di stringere, tanto la carne ha segno di debolezza. Ma il mistero della fragilità, che abita ogni nascita di un cucciolo d’uomo, si inarcò a dismisura, la notte delle notti, e sembravano chinarsi i cieli in un trasalire di stelle.
Mistero di una fragilità umana sposata da Dio. Che Dio avesse scelto per la sua visita alla terra non la modalità fragorosa e solenne, accecante, privilegio degli dei pagani, ma l’ingresso nel segno della debolezza e della fragilità, era sì il segno da far stupire gli occhi e il cielo.
Da quella notte Dio diede appuntamento nella fragilità degli umani. Allora non vergognartene. Né della tua né di quella degli altri. Dio l’ha sposata, sposata per sempre, quella notte. Guardalo, non occorre altro per amarlo. È ancora nudo di mille orpelli umani, non ha altro titolo che quello di un essere umano, un tiolo che appartiene a tutti, il solo che Dio ha onorato. Ogni essere umano da onorare dunque nella sua fragilità e debolezza, da amare nudo, per come è, soffio del vivente in una fragile tenda di carne.
La Nascita, le nascite raccontano, ogni volta che accadano, questo mistero di una fragilità d’amare, di cui prendersi cura, da custodire. I cuori si aprono e si raccontano se ti fai vicino, se il tuo volto non dice estraneità, lontananza o, peggio ancora, accusa, ma vicinanza. La Nascita, nella notte delle notti, racconta vicinanza di un Dio che ha sposato la nostra fragilità. Quella vicinanza solleva.
Creare vicinanza sembra essere invito buono, profumo di pane nei nostri inquieti giorni. Non sempre, quasi mai, ci sarà dato di togliere dalle spalle dell’altro il peso della vita. Neppure a Gesù riuscì tanto! Non sempre poté i miracoli, ma sempre raccontò con i suoi occhi la vicinanza. Ora tocca a noi raccontarla. Con i nostri occhi.