In transito
testo liberamente tratto da Celebrazione del quotidiano, Colette Nys-Mazure, Ed. Servitium, 2006
Vi scrivo in transito. Vi scrivo fra due momenti quotidiani. Da una stazione, luogo fugace, effervescente e rumoroso. Qui, in un fracasso assordante, si svolgono, si incrociano e scambiano le vite. Agli aeroporti, spesso così enfatici a dispetto delle voci sussurranti delle hostess, ai tapis roulants e alle lussuose caffetterie, preferisco le correnti d’aria, le file impazienti agli sportelli, i corpi che si sfiorano, i bar pieni di fumo, l’afa delle fermate ferroviarie. Sulle banchine ventose, le persone cadono l’una nelle braccia dell’altra, qualcuno da solo affretta il passo, i bambini piangono o si lanciano incontro al padre appena l’hanno riconosciuto. Uomini d’affari incravattati, con ventiquattr’ore e telefonino, chiamano il socio continuando a camminare; gli innamorati si abbracciano con lo sguardo. Rannicchiata sotto una cassetta della posta, una barbona sonnecchia, mentre un giovane stralunato mendica tessere telefoniche esaurite. Una compagnia di coscritti festeggia il congedo. Microcosmo. Qui brulica la vita affannata o vagabonda. Posso correre o gironzolare. […] Vi scrivo da una stazione, da tutte le stazioni che frequento dall’infanzia, che amo nonostante il loro squallore, la sporcizia, la musica stucchevole, nonostante la rigidezza amministrativa di alcuni impiegati. NE ammiro il rigore nel disordine e provo tenerezza per le innumerevoli fisionomie, i flussi e i reflussi, gli umori. Vi si incontrano monelli, ladruncoli e scansafatiche, ma anche dei buoni samaritani e deisan Martino. Io LO incontro talvolta.
Vi scrivo da un luogo di transito, immagine di tutti i nostri sposamenti, delle partenze salutari e dei ritorni, delle speranze pimpanti e dei disappunti, della nostra perpetua agitazione. Bisogna muoversi, partire, cambiare. Vi scrivo tra due voli, nel piccolo aeroporto di un altro continente dove faccio scalo il tempo d’uno pieno di cherosene, e magari smarrire ancora una volta le valigie.
Correre il rischio
[…] Nella sala d’attesa, cullata da una musica d’aeroporto interrotta da annunci in lingua dai toni fortemente marcati, ho pietà di me stessa, polvere lanciata nell’atmosfera; preferirei star seduta su una sedia della mia cucina. Chi mi spinge a lasciare i miei cari e i luoghi che amo? Dove sto andando nessun volto mi è familiare. Sono come tanti viaggiatori di professione, uomini e donne inviati per il mondo dal datore di lavoro, invece di limitarmi a essere una madre di famiglia in una cittadina di provincia. Sensazione di piacere mista a disagio. Ridiventare sé stessi, piuttosto che la signora Tal dei Tali, la madre di, professoressa di; libera dalle etichette, senza le complicazioni talvolta scelte, talvolta imposte dalla vita. […] Ciò che vivo tra due voli d’aereo è solo una delle forme assunte dal moto perpetuo, con i suoi strappi e i suoi ancoraggi, i rischi e le sfide? Seduta al mio posto, mi chiedo che cosa in noi mantiene vivo il desiderio di andare avanti comunque, ad ogni età e in ogni circostanza. Per alzarsi e mettersi in marcia, spesso bisogna essere chiamati per nome. […] Appartenere a un luogo, quello di nascita e quello di elezione. Dedicarvisi, invece di rivolgere gli occhi altrove, avanti o indietro. Gioire di una certa luminosità del cielo a quell’ora, delle stagioni, dei paesaggi: è un fiume o una spiaggia, una radura in collina o in città, è casa mia. Io sono qui, adesso. Ma con lo stesso fervore di spostarmi. Non necessariamente lontano, ma cambiare punto di vista, scoprire cose del tutto differenti, prendere coscienza della relatività, per meglio discernere cosa fa del nostro “qui” un luogo unico. Partire per meglio scoprire.
Mettermi al tuo posto
[…] Cambiare, abbandonare la propria visuale e le certezze per poter esprimere con le proprie posizioni, evolvere. Sono così spesso prigioniera dei miei pregiudizi innati o acquisiti, incapace di comunicare veramente con la gioia o la sofferenza di un altro, con i suoi interrogativi. Perfino le persone più prossime ci rimangono oscure, finché non cerchiamo di far nostro il loro punto di vista. La sofferenza degli altri è sempre lieve, proprio perché non la intuiamo, incapaci di distoglierci dall’egocentrismo. Non vediamo oltre i confini delle nostre abitudini. Tutti chiusi nei nostri <<stretti panni>> come direbbe Andrée Chedid.
Cambiare aria
Andare a vedere i film che i nostri figli ci consigliano significa scorgere ciò che li colpisce, che li può anche condizionare; entrare nella loro orbita invece di tentare di mantenerli nella nostra. Benefici dell’aria e del paesaggio che dilatano lo spazio chiuso e relativizzano i conflitti interiori. Uscire. Camminare in riva al mare con la bassa marea; la battigia elastica e compatta sotto i passi trasmette un’allegra sensazione di leggerezza. Aria, vento e sole. Il corpo si risveglia, si risolleva. […] Camminare tranquilli con l’adolescente in difficoltà, con l’amica colpita da un lutto, o con il contestatore, il disperato; lo sguardo diretto li imbarazzerebbe, camminare paralleli consente di parlare senza pudori; gli interventi dall’esterno sciolgono l’imbarazzo, forniscono dei diversivi. Restituiti allo spazio, liberati. Strappata al mio quotidiano, vi vengo presto rispedita, perché ovunque si ricrea un rituale; la concatenazione dei gesti elementari rassicuranti. Non ci portiamo forse dietro il nostro guscio? Sottrarmi al quotidiano per meglio riscoprirlo in seguito, ma anche per capire che è un passaporto verso gli “altri” in capo al mondo.
Vi scrivo in transito, in movimento.
Per scaricare il testo clicca sul seguente link