Vi scrivo con entusiasmo
testo liberamente tratto da Celebrazione del quotidiano, Colette Nys-Mazure, Ed. Servitium, 2006
Entusiasta, essere animato da un dio, spiegava il professore. La prima volta che ho sentito pronunciare questa parola stavo andando a scuola. Dal finestrino del tram si scorgeva a tratti il fiume, gremito di barconi lenti tra le alzaie, i pioppi, i campi. Quel giorno, quando il sole è emerso dalla nebbia che avvolgeva l’Escaut, sono stata letteralmente folgorata: com’è bello!
Intorno a me, gli scolari di fretta, accalcati, ripetevano una lezione, ricopiavano in fretta e furia un compito, facevano chiasso come di solito facevo anch’io. Ho sentito un mormorio alle spalle, come se si parlasse di me; mi sono voltata e ho sorpreso la mia maestra intenta a parlare con la vicina di posto, una delle “grandi” che presto avrebbero lascito la scuola; ho chiesto: <<Scusa, signorina, non ho sentito cosa diceva…>> <<Dicevo che sei un’entusiasta. È un bene>> ha poi aggiunto, senza dubbio perché conosceva il mio temperamento irrequieto.
Un’entusiasta? Sul momento non ho osato informarmi sul senso esatto della parola, poi ho dimenticato, ma proprio la settimana successiva lei ne ha specificato l’origine. Sono animata da un dio? Altro stupore. È questa riflessione che ha coltivato il fiore della meraviglia? E la maestra mi avesse presa in giro, forse avrei chiuso la fonte della gioia? Slancio di riconoscenza verso di lei, morta da tempo.
La sosta
Tante voci invitavano a meravigliarsi, dicevano Guarda, indicando la ragnatela che faceva oscillare le gocce di rugiada nella luce. Ascolta, drizzando l’orecchio per sentire l’acqua che saltella sui sassi del torrente, in riva al quale facciamo picnic. O ancora Adesso ascoltiamo il silenzio per calmare le chiacchiere, per ottenere un po’ di pace, ma anche per gustare la dimora del silenzio in cui la voce ci invitava ad entrare.
Diceva ancora Hai sentito? Perché il primo lilla incensava il nostro passaggio; Assaggia, offrendo una regina claudia segnata da una fessura e già concupita da un’ape, Non è succulenta? È tutta calda di sole o Tocca: questo muschio è morbido, un vero velluto ed esitavo a schiacciarlo sedendomi. Voci, sguardi che celebravano la bellezza del mondo; bastava essere attenti, presenti, distolti da sé per darsi a ciò che si offriva, corrispondere.
Un’iniziazione così semplice e naturale, tocca a me adesso assicurarla. Mediazione, trasmissione, passaggio di poteri. Interrompo volentieri la lezione perché il sole gioca tra le foglie del faggio color porpora che attraversa la parete divisoria delle classi. Mi rallegro ogni volta che l’indifferenza s’incrina, che l’opacità svanisce.
Questo sentiero lo conosco a memoria; i bambini lo prendevano per recarsi a scuola; ci passo quasi ogni giorno per andare al lavoro, alla posta, da un’amica. Bisogna fare una piccola deviazione, ma ne vale la pena per il paesaggio: tra il parco del castello e la chiesa del paese la strada poco frequentata curva per costeggiare lo stagno, con un’isola minuscola e il mulino ad acqua. Qui tengo d’occhio il volgere delle stagioni sui rami a candela degli ippocastani, la marea dei giacinti spontanei dopo quella dei bucaneve, la cova delle anatre, la brina che imbianca l’erba delle rive. Qui gli innamorati si danno appuntamento, gli sposi si fanno fotografare, un’anziana s’avventura con claudicante. Non un palmo di terreno che io non riconosca, salutandone le metamorfosi. Oggi a mezzogiorno mio figlio maggiore arriva affannato dal lavoro: Sono passato dallo stagno, la strada s’allunga, ma è così bello: avresti dovuto vedere il rosaio selvatico sulla facciata della casa in rovina, magnifico!
Lo stato di grazia
Forse siamo veramente noi stessi solo nella meraviglia, nella lode, nella riconoscenza. Occasioni in cui si esprime la parte migliore del nostro essere, che canta, si dilata e va incontro a Colui che non si può nominare.
L’ammirazione è solo uno dei nomi della Speranza, una piccola via di Speranza. Uscire dall’io, spesso angusto e cupo, per lasciarsi cogliere dall’ammirazione. Raschiare dall’essere lo strato d’abitudine e d’usura così da contemplare quanto di bello si presenta agli occhi spenti, assuefatti.
Ammirare il sorgere del giorno, ogni giorno, nuovo in modo inimmaginabile, il risveglio dei colori; il gioco delle stagioni, le meteore. Accogliere come un prodigio il primo viso: quello più familiare, tanto vicino che non lo si vedeva più, o lo sconosciuto incontrato per strada; il volto dell’altro che viene verso di noi con il carico di desideri e paure che possiamo sentire come nostro, anche se lui ci rimane ignoto. Lasciarsi toccare dai compagni di metropolitana: la mano del bambino nero nel palmo rosa della madre, la guancia adolescente appoggiata sulla spalla amica in giubbotto di pelle, la discussione appassionata sul giornale semiaperto fresco fresco. Fratelli umani che con noi vivete!
Distogliersi da sé stessi, staccarsi dagli errori, dagli insuccessi, entusiasmarsi per darsi alla bellezza che salva e a Lui conduce, al Dio bontà e di tenerezza, nostra speranza.
Vi scrivo con entusiasmo.
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