Ecco, mi piacerebbe, terminando, d’essere nella luce… (Paolo VI)
Nell’omelia pronunciata a Castel Gandolfo, nella solennità della Trasfigurazione di alcuni anni fa, in memoria del 40° anniversario della morte di Paolo VI, mons. Marcello Semeraro, Vescovo di Albano, ha sottolineato “l’intima attrazione” di Papa Montini “per il monte della Trasfigurazione”, tanto che per il suo stemma episcopale aveva pensato al motto “Cum ispo in monte”.
Nella sua seconda lettera Pietro ricorda: “Eravamo con Lui sul santo monte”. Il Nuovo Testamento non ce ne dice il nome, ma ci dice che quel monte era ‘alto’; lo era al punto che i discepoli non sarebbero saliti senza l’incoraggiamento di Gesù: “Li condusse su un alto monte”. Letteralmente: “Li portò verso l’alto”.
L’altra cosa che sappiamo riguardo a quel monte è che era “santo” […] Così lo definisce il Nuovo Testamento. Perché – osserva Semeraro – non è soltanto un luogo, ma è il testimone di una grande intimità dei discepoli con il loro Maestro: ‘in disparte, loro soli’, annota l’evangelista; soli come si può stare fra persone che si vogliono bene.
“Eravamo con lui” scrive Pietro, e Marco racconta: li “prese con sé”. Per questa ragione, dunque, è “santo”, quel monte!
In fondo, la santità è vivere in unione con Gesù i misteri della sua vita.
A Cristo Paolo VI ha sempre guardato come modello supremo di una vita e di una morte trasfigurate dall’amore.
È bello, infine, pensare che proprio nella solennità della Trasfigurazione del 1838, il Beato Luca Passi ha fondato a Venezia questo nostro Istituto. Ci condusse su un alto monte, ci portò verso l’alto… Perché fossimo nella “luce”.