Si può parlare di questione femminile, leggendo l’Epistolario di Rachele Guardini?
La dimensione del femminile, certamente, coinvolge e chiama in causa Rachele Guardini in quanto donna e con lei attraversa tutta la fondazione e l’Istituto voluto dal Passi. L’Istituto ha come scopo di promuovere e sostenere la Pia Opera, organizzazione parrocchiale femminile orientata alla cura delle fanciulle per riformare i costumi e, per ciò stesso, inevitabilmente, compromessa con il femminile. Tuttavia un’impronta peculiare è trasfusa dallo stile e dall’esperienza della Guardini in ciò che essa ha operato e in ciò che ha scritto e per questo osiamo ipotizzare una lettura e deduzione della questione a partire dal carteggio.
La sensibilità culturale del 1800 non ha prodotto un pensiero specifico di genere, ma ha lasciato emergere un numero consistente di figure di donne di speciale statura e rilievo, la cui azione ha inciso nel tessuto sociale, ecclesiale e umano in cui si sono poste ed hanno operato.
Femminilità, femminile, cioè “farsi cura, prendersi a cuore, portare dentro di sé” e ancora “divenire compagnia”, contenere il vuoto della perdita, sapere la presenza nell’assenza, in un processo che coniuga e rilancia la statura e il colore della femminilità come desiderio, slancio, apertura, accoglienza, anche e soprattutto “dell’imperfezione, del difetto, della mancanza”, come afferma L. Scaraffia, perché attenzione alla vita nella fragilità della sua genesi e nel suo farsi.
Se questa è una chiave di lettura del femminile, essa consente di entrare in punta di piedi nell’epistolario della Guardini e schiudere quelle porte accostate che nascondono i tratti caldi della sua umanità.
Mons. V. Carbone riporta una parte di lettera scritta da Annunciata Cocchetti a don Gregorio Valgoglio, arciprete di Cemmo, il 18 agosto 1842. Ella dice di essere stata accolta a Venezia da Rachele con molta carità e aggiunge: “Mi dona (Rachele) tutta la sua confidenza, e molte volte ho il bene di godere l’amabile compagnia della medesima. Il giorno dopo che sono arrivata, la suddetta Superiora mi ha consegnato alla maestra delle novizie, perché mi ammettesse subito al Noviziato; ma il mio noviziato non mi costa fatica perché troppo benignamente sono trattata. Mi dona tutta la sua confidenza… molte volte ho il bene di godere l’amabile compagnia della medesima …”: affermazioni incisive e nitide che, associate alle ripetute formule di intestazione delle varie lettere evocano la piacevolezza, il calore e la profondità della relazione: “Dilettissima sorella” rivolta a Paola Frassinetti; “ Mia cara sorella in Gesù” alla Sig.ra Maestra di Palosco (BG); “Mons. Illustrissimo e Padre mio benignissimo” a Mons. C. Ferrari, vescovo di Brescia; “Stimatissimo e carissimo fratello in Gesù” al Signor Carlo Manziana; così pure il suo modo di firmarsi: “amorosissima sorella” si dichiara alla Cocchetti, ma più avanti anche “Vostra affezionatissima Madre”; “aff.ma nel Signore”, in moltissime lettere; “Umilissima serva ed aff.ma sorella” in tantissime altre; “Vostra affezionatissima amica” alla Sig.ra Antonietta Zanzotti; “La tua amorosa sorella” al fratello Illuminato.
Sembrano stagliarsi queste espressioni sullo sfondo di una sensibilità e di un affetto così trasparenti che lasciano intuire tutta la persona, con tutta sé stessa, lì presente nella relazione, coinvolta nella vicenda dell’altro, con l’attenzione accogliente di colei che sa mettersi a fianco e “stare con”, tutta intera, senza paure e senza difese. Viene per associazione il confronto con le donne del Vangelo: Maria di Magdala, Giovanna, Maria di Giacomo e altre (Cfr Lc 8, 1-3): donne che stanno accanto a Gesù, compagne (coloro che provvedono e condividono il pane e lo servono) e insieme discepole del loro Maestro, in ascolto attento e disponibile, perciò in relazione profonda con la sua persona e il suo messaggio, e per questo capaci di salire fin sotto alla croce e di accogliere per prime l’annuncio della resurrezione.
Il calore della vicinanza si fa relazione di cura
Rachele esprime la sua cura in modo vigile e accorto nei confronti delle giovani che chiedono di entrare in Istituto e di altre con cui ha in attivo una fitta corrispondenza, ma anche nei confronti delle fanciulle a cui va il suo impegno di educazione e di istruzione. A Maria Taverna: “Mia cara figlia, nell’ordine della Divina Provvidenza era da tutta l’eternità disposto che voi, mia cara, doveste soggettare il vostro desiderio di entrare nell’Istituto delle Suore di S. Dorotea, impiegandovi prima nello studio delle lettere, onde impariate maggiormente a conoscere che tutto è ignoranza, in paragone dell’Increata Sapienza…”. E la lettera continua offrendo indicazioni che lasciano trapelare tutta la sintonia con ciò che fa muovere la persona verso traguardi costruttivi e liberanti, verso la molla profonda del progetto di vita che ella porta dentro di sé, perché questo è importante nell’attenzione di cura: far mettere le ali alla persona perché possa volare dove il suo desiderio la chiama.
Allo stesso modo Rachele vuole il bene delle fanciulle, soprattutto le più pressate dalla vita e le meno fortunate. “Ieri sera, scrive a don Luca, ho avuto la consolazione di assistere nove povere fanciulle, da noi istruite, alla loro prima comunione, le quali erano tanto infervorate che il cuor loro palpitava con grande veemenza…”.
È una consolazione di compartecipazione e gaudio per quanto di buono cresce e matura. Ma la vibrazione tutta femminile si fa fermezza e determinazione quando sono in gioco il fine dell’Istituto e la sua identità. Scrive a Mons. Balbi: “… Ella si ricorderà ch’io Le dicevo di averlo il Sig. Co. D. Luca apparecchiato, (il Prospetto) perché fosse presentato a Sua Santità, contenendo lo scopo principale dell’Istituto, cioè la diffusione della Pia Opera e la coltivazione dello spirito delle fanciulle, acciò abbiano a conoscere il fine per cui sono al mondo, ed a cosa devono tendere in tutte le operazioni loro”. Trapela una ispirazione e una forza doppiamente generante in queste affermazioni, perché permeate della responsabilità di chi sa di avere il compito di custodire l’Istituto e il suo scopo e si assume tutto l’impegno di portarlo a compimento, senza cedimenti e senza equivoci.
C’è una peculiarità, tuttavia, del femminile che si pone in rapporto all’oltre, nell’intuizione della forza del Bene che attraversa il presente, ma non si esaurisce in esso, perché il presente è solo frammento e non può contenere la sorgente che lo trascende. Sembra di poterlo cogliere come saggio in queste espressioni che Rachele scrive a Margherita Bevilacqua: “Mia cara, il tempo passa e l’incertezza della vita deve sollecitarci a operare, onde non ci troviamo alla fine, prive di quel bene che possiamo ora acquistarci e che invano sospireremo allora: ma perché tutta di Dio ne sia la gloria, conviene esercitarlo senza frammischiar ciò ch’è nostro. Operare dunque nella pace del cuore, preferendo questa ad ogni altro bene immaginario”. Tradiscono queste espressioni lo spessore della spiritualità di Rachele e la forza interiore che il suo cuore coltiva e alimenta. Portare dentro di sé il richiamo del Bene, custodire l’attesa dentro i piccoli frammenti di vita quotidiana, accogliere il vuoto di amore come germe e promessa di una pienezza che verrà, che è possibile, sembra orientamento tutto femminile, perché nasce da una libertà e distacco che solo la donna esperisce attraverso il partorire e il generare. “La donna intuisce il concreto, il vivente, il personale: Ha una particolare sensibilità per conoscere ogni oggetto nel suo valore specifico; fa propria la vita spirituale altrui e desidera portare alla massima perfezione l’umanità nelle sue espressioni specifiche attraverso un amore pronto a servire”: così A. Bello parafrasando il pensiero sulla donna di E. Stein.
Scaturisce da questa brevissima, parziale e frammentaria analisi dei testi di Rachele Guardini la considerazione che il suo carteggio rappresenta davvero una miniera di intuizioni e ne viene ancora una volta una provocazione forte per le suore e insieme, in particolare, per le Cooperatrici dell’Opera di S. Dorotea. La vita personale e altrui, la vita fragile e indifesa, violata o trascurata, la vita umana in tutta la sua concretezza e nella proiezione verso un orizzonte “altro che spinge in direzione dell’ Oltre” in forza dell’insaziabilità del desiderio, la vita, nella sua concretezza, interpella custodi dolci e sapienti, mani che sanno accarezzare e lenire le ferite e il dolore, soprattutto dei piccoli, cuori che sanno alimentare attese e speranze, sguardi che sanno far nascere le ali e permettere a chiunque di volare verso la pienezza del Bene e la piena identità di sé.
Suor Emmarosa Trovò
(Ardere per Accendere, 2, 2004)
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