Siamo nel cenacolo in un momento di profonda intimità tra Gesù e i suoi discepoli. Ad un certo punto Gesù dice dove vado io non potete venire (Gv 13,35). Non è un caso che a chiedere dove andrà sia proprio Pietro.
Pietro è un uomo di fede. Da quando Gesù lo ha cercato sulle rive del lago, Pietro non ha rinunciato ad andargli dietro. I suoi problemi sono iniziati quando Gesù ha iniziato a parlare della sua passione. Pietro è un vincente e non riesce ad ammettere nella sua mentalità un Messia perdente. Nel cenacolo fa un giuramento solenne Darò la mia vita per te (Gv 13,37). Pietro è pronto a combattere, a dare la sua vita ma non è pronto a seguirlo in una via di debolezza, di apparente sconfitta.
La promessa di Pietro finisce nel rinnegamento. Pietro arriva nel cortile esponendosi al rischio di essere interrogato dai servi. La cosa avviene. Pietro dice non lo conosco. Forse vorrebbe dire non lo riconosco perché rispetto a come l’aveva visto all’inizio affascinante che attirava le folle, adesso è debole, sconfitto. A Pietro manca la fede. Rinnegando, Pietro nega anche la comunità e sé stesso. Pietro non sa più chi è, ha perso sé stesso. Rinnega la relazione con Gesù e perde l’essenziale, il profumo, l’identità. Ma Gesù non gli ha risparmiato questa esperienza, tappa essenziale della sua conversione. L’errore di Pietro sta nella presunzione di potercela fare con le sue forze, di essere lui l’epicentro della relazione con Gesù.
Gesù, il Risorto, recupererà Pietro sulle rive del lago di Tiberiade quando gli chiederà se lo ama. Gesù non accusa Pietro ma è come l’innamorato che attende la dichiarazione della sua innamorata. Quando Pietro confessa di appartenere a Gesù, rinuncia a primeggiare, Gesù gli affida la Chiesa. Quando Pietro sta nel giusto posto nella relazione, diventa affidabile. Gesù dice pasci le mie pecore, che vuol dire dai da mangiare ai tuoi fratelli, così come il pastore bello e buono offre la sua vita per le pecore.
È bello che Pietro che ha rinnegato, ha confessato l’amore sovrabbondante, ora riceve una missione. È un compito ricevuto, non si è preso il compito. E la prova sarà che ora Pietro accetta anche la modalità di Gesù nell’essere pastore che si prende cura dei fratelli, cioè soffrire per chi si ama.
Soffrire è il verbo dell’amore. Recuperiamo i nostri rinnegamenti, i nostri no detti a Gesù e al nostro prossimo per trasformarli in altrettante dichiarazioni d’amore. Così potremmo recuperare la nostra identità profonda.
Liberamente tratto da un’omelia del martedì santo 2020 di mons. Marco Busca, vescovo di Mantova