Amati e risorti, come Lazzaro
Commento di suor Attanasia di Gerusalemme – monaca carmelitana
Il brano evangelico, che racconta il segno della resurrezione di Lazzaro operato da Gesù, sprigiona una forza incontenibile e inarrestabile: la forza dell’amore del Padre, che vince la morte. Si tratta di prendere coraggio e compiere, anche noi, tutto il percorso di grazia, che Gesù stesso traccia e che l’evangelista Giovanni rende ben visibile lungo le righe del capitolo 11 del suo Vangelo. Un percorso che parte da un punto critico, doloroso e imbarazzante per tutti: parte dalla condizione di malattia, di fragilità, condensata, qui, nella persona di Lazzaro di Betania, l’amico di Gesù, ma in realtà annunciata e rivelata come possibile opportunità di crescita e salvezza, – sì, salvezza! – per ognuno di noi.
La prima chiamata che riceviamo accostandoci al Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima, è la chiamata a metterci in ascolto con la nostra condizione di malattia. Non possiamo sbagliarci: siamo posti di fronte a una privazione sostanziale, alla nostra condizione di creature, che è condizione di mancanza, di assenza. Lazzaro compare sulla scena per dirci che, come è lui, così siamo anche noi.
Ed è bellissimo notare che sono le donne, le sorelle di Lazzaro, a prendere tra le mani questa situazione dolorosa per portarla davanti al Signore Gesù; Marta e Maria mandano, infatti, a dire a Gesù: Lazzaro, colui che tu ami, è ammalato! Le donne, con la loro straordinaria dolcezza e tenacia, col coraggio che viene dal di dentro, dalla cavità d’amore che è il loro grembo e che le costituisce, riescono ad aprire quel grande processo di speranza, che è la sfida della morte. Loro per prime si oppongono alla morte e ci insegnano a fare altrettanto, raccogliendo in noi stessi tutta la forza possibile o impossibile.
Gesù risponde e si mette in movimento. L’evangelista segnala questo ulteriore passaggio utilizzando in diversi modi verbi di movimento: “Andiamo! Io vado!”, che risuonano, potenti e sconvolgenti, dalla bocca stessa del Signore. Lui si muove, viene incontro alla morte, per portare la sua Vita. Il viaggio di Gesù e di quanti decidono di seguirlo, trova una prima conclusione, solo parziale, davanti al sepolcro chiuso, alla pietra posta sull’apertura della tomba di Lazzaro. Proprio là dove sembra non ci sia più nulla da fare. E invece no! Davanti alla morte è ancora possibile dare una risposta, aprire una via di uscita. Gesù ci mostra questa via: alza gli occhi verso il Padre e prega, anzi, loda, rende grazie!
E da lì, da quel suo incontro intimo e forte col Padre, nella preghiera, Egli compie il passaggio al suo incontro con la creatura, con Lazzaro, con ognuno di noi. E si ode, come fosse un tuono, la voce del Salvatore, che scuote gli inferi, che risveglia la morte già accertata, chiamando per nome colui che Egli ama: Lazzaro, vieni fuori! Voce e grido grande, che risuonerà ancora dalla croce, come testimoniano tutti gli evangelisti. E quella voce amichevole, che ti chiama per nome, perché è la voce di Colui che da sempre ti conosce, realizza ciò che dice: infatti il morto uscì, libero e vivo. Come un feto, che esce dal grembo, per entrare nella vita nuova, nella salvezza.
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Quando ha chiesto: Dove l’avete posto?, nostro Signore ha pianto. Le sue lacrime sono state come la pioggia, Lazzaro come il grano, il sepolcro come la terra. Ha gridato con voce di tuono, a udire la sua voce la morte ha tremato, Lazzaro è spuntato come grano, è uscito e ha adorato il Signore che l’aveva risuscitato. Gesù (…) ha reso la vita a Lazzaro ed è morto al suo posto, poiché dopo averlo fatto uscire dal sepolcro e averlo preso alla sua mensa, egli stesso è stato sepolto simbolicamente con l’olio che Maria ha versato sul suo capo. (…) Il Signore ha dunque reso felici Maria e Marta vincendo l’inferno per mostrare che lui pure non sarebbe morto.
Efrem il Siro – Commento al Diatessaron, 17,7-10