Missione Brasile: un punto di arrivo o di partenza?
Quando abbiamo iniziato il percorso di Giovani e Missione con il PIME era ben chiaro che la partenza per la missione sarebbe stato il punto di arrivo, la conclusione di un cammino. Siamo state destinate al Centro di Convivenza Santa Dorotea, a Grajaù nella periferia di San Paolo in Brasile.
Da qui la preparazione del viaggio, la partenza, il lungo volo in aereo e l’arrivo. E quindi le prime due parole importanti: INCONTRO e ACCOGLIENZA. Incontro con quelle meravigliose suore che ci aspettavano alle 4.30 del mattino all’aeroporto e che ci accoglievano dicendo: “Ci siamo vestite da suore, così eravamo sicure che ci avreste riconosciute”. Incontro con le famiglie che ci hanno ospitato, spalancando le porte delle loro umili case e ci hanno adottato come parte integrante – Come non ricordare una gioiosa Marlì che entra nella casa delle Sorelle gridando “Dov’è mia figlia?”.
Ma nelle tre settimane che abbiamo trascorso in Brasile abbiamo capito che San Paolo non è solo questo, anzi è molto di più. Ti lascia un segno. È una città enorme, piena di contraddizioni e di disuguaglianze sociali. Nel centro grattacieli enormi si stagliano sui lati delle strade e ai loro piedi piccole tende di senzatetto, elicotteri di benestanti che sfrecciano sulle nostre teste e “onibus” immersi nel traffico della città colmi di persone. In periferia invece, minuscole case appiccicate le une alle altre, con cavi della corrente che sfiorano il primo piano, code davanti al centro di distribuzione dei viveri per i bisognosi, bambini per strada con i propri aquiloni che volano nel cielo, marciapiedi impraticabili e musica fino alla mattina successiva. Il Centro di Convivenza Santa Dorotea diventa un’oasi in mezzo al caos.
Ricordiamo ancora il primo giorno, dove i bambini e ragazzi che lo frequentano, ci hanno accolto festosi e affettuosi, abbracciandoci, presentandosi e, capito che il portoghese non lo sapevamo, hanno cercato di insegnarci parole e frasi. Sempre felici e sorridenti, nonostante vivano situazioni disagiate. I ragazzi che sono nel centro, con i loro abbracci, ci hanno mostrato come siano affamati d’affetto, quello stesso affetto di cui forse, anche noi, non sapevamo di avere bisogno ma che è stato un dono prezioso e rigenerante.
Abbiamo cercato di metterci a servizio di qualsiasi attività. Abbiamo ripulito e dipinto muri, spazzato e lavato per terra, aiutato nel creare un orto portando carriole piene di terra, rami e foglie, dato una mano in cucina tagliando cipolle e sbucciando chili di patate, contribuito a fabbricare addobbi per un matrimonio e partecipato ai vari laboratori degli educatori che spaziavano da quello di cucina, a quello di danza, fino a quello sull’abuso sessuale. E giocato, giocato e giocato perché, vederli con i sorrisi stampati in viso era la cosa che dava il vero senso a tutto.
Ma, alla fine, è vero quello che dicono sulla missione, quello che dai tu non è nulla in confronto a quello che ricevi, ma è quello di cui hanno bisogno. E più fai, più ti viene voglia di metterti in gioco. E qui si realizza che la missione non è un arrivo, ma un’ulteriore tappa, un punto da cui partire per imparare a donarsi agli altri. Basta mettere piede in Brasile per sentire l’anima schiudersi e divenire leggera. (Stefan Zweig).