La domenica delle Palme ci immerge in una liturgia drammatica, dove gioia e dolore si mescolano continuamente e misteriosamente. Una sinfonia struggente e paradossale, capace di sollecitare e riscattare la nostra regalità, che può essere vera solo nella misura in cui è capace di misurarsi fino in fondo con la realtà. In questa domenica siamo invitati a ricordare che la vita non ci è donata per restare chiusa in una cassaforte, ma per essere liberamente offerta e consegnata.
(fra Roberto Pasolini)
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Colui che viene nel nome del Signore, tra la folla acclamante, so che, come il grano di frumento si annienta nel solco per risorgere poi come spiga offerta alla fame di tutti, vivrà la consegna totale e definita alla terra. L’inviato di Dio, il Figlio di Davide, che assapora un’ora di acclamazione e di lodi, in realtà è già una vittima designata e consapevole. Egli sa che il suo procedere tra la gente festante, lo avvia all’immolazione e lo avvicina a quell’altare del suo sacrificio che sarà l’altura del Golgota: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32)
Entra in città tra rami di palme e di Ulivo e grida di gioia, sarà poi condotto fuori dalla città, tra schermi e insulti per salire al luogo della vita consegnata.
Tutta la Passione di Gesù è racchiusa tra le esaltazioni della Domenica delle Palme e il grido “crocifiggilo” del Venerdì Santo E’ un percorso pieno di contraddizioni, come lo è la stessa nostra vita di persone umane, è un cammino di paura e di speranza, di angoscia e di abbandono, di coraggio e di agonia. Il racconto della passione è il racconto di ogni passione e di ogni morte, che nella passione e morte del Signore diventano cammini di salvezza e di redenzione.
Rimangono a noi due segni:
- un rametto di Ulivo con il quale riconosciamo Gesù Figlio di Davide al quale chiediamo il dono della PACE per questa nostra terra ferita e sanguinante
- una croce che ci indica l’unica via di vera salvezza, una vita che lascia spazio all’altro perché viva!
Prepariamo il nostro cuore ad accogliere la SPERANZA della vera vita!
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Chi sta alla tavola dell’eucaristia
deve «deporre le vesti».
Le vesti del tornaconto, del calcolo,
dell’interesse personale,
per assumere la nudità della comunione;
le vesti della ricchezza, del lusso,
dello spreco, della mentalità borghese,
per indossare le trasparenze della modestia,
della semplicità, della leggerezza.
Dobbiamo abbandonare i segni del potere,
per conservare il potere dei segni.
(Tonino Bello)
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